IN CAMMINO VERSO LA PSICOSOMATICA
Agosto 2025
Cosa si intende quando si parla di Psicosomatica?
Questa é una delle prime domande che mi viene spesso fatta quando mi presente come Naturapata Psicosomatica. Anzi la primissima forse é: "Cosa fa una Naturopata?" ma per questa spiegazione oltre qualche indizio che giá ho dato in presentazione... Ti chiedo... "Perché non venirlo a provare direttamente?"
Quando parliamo di psicosomatica intendiamo, la correlazione che vi è tra un disturbo somatico (soma= corpo) e la sua possibile causa di natura piscologica (psiche= mente).
Ma per capirne l’odierna visione dobbiamo fare qualche passo in dietro.
Sin dall’antichità e fino ai tempi nostri, tale correlazione è stata oggetto di diatribe tra, filosofi, medici, psicanalisti, pensatori e studiosi che, concepivano la mente come unità totalmente separata dal corpo e altri invece, che erano sempre alla ricerca della connessione tra queste due entità.
Nella nostra concezione occidentale, discendete diretta della filosofia greca, già i primi filosofi di allora, come Omero, Socrate, Platone, Aristotele etc, seppur con differenze di pensiero, iniziavano a identificare la personalità dell’uomo collegandola alla psiche e al corpo.
L´allora figura del medico per i greci era una figura complessa, connesso agli dèi, alle stelle e ai poteri dell’universo, abile curatore in sinergia con la natura e tutto ciò che ad essa era collegata.
Lo stesso Ippocrate, padre della medicina scientifica, nel curare le persone, ad esempio da una pandemia, prendeva ad esame la singolarità della persona, ogni sua specificità, il sonno, i sogni, i gesti involontari, la costituzione, l’età, la dieta, l’ambiente in cui viveva, il modo di raccontare la sua vita, il dolore vissuto o percepito ecc.…
Confermando come anche la visione scientifica vedesse l’uomo e la sua malattia in tutto il suo insieme, inglobando aspetti di, anima, corpo e mente, e, considerando nella costruzione della terapia più idonea da consigliare, un rimedio che fosse esclusivo e rivolta la persona con la sua individualità.
Sebbene nei secoli psiche e soma furono spesso viste come interagenti, durante il Rinascimento, la visione che le vedeva invece come parti distinte prende il sopravvento.
Il progredire, del metodo di allora, portava ad affermare la medicina scientifica, quale unica tecnica in grado di approcciarsi all’uomo e alle sue problematiche. Partendo dal presupposto che, la malattia fosse dimostrabile solo attraverso dati e strumenti diagnostici e che non avesse nulla a che fare con l’individualità della persona, con il suo contesto ambientale, sociale e familiare. Separando di fatto il malato dalla malattia che portava, e scegliendo di occuparsi di quella realtà umana che era solo empiricamente misurabile.
È solo verso la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento che, si inizia ad intravedere nuovamente un cambiamento nel pensiero medico.
Lo sviluppo dell’anatomia patologica e di strumenti di indagine sempre più precisi, avevano messo in relazione la malattia con le alterazioni organiche, e successivamente con il dilagarsi della batteriologia, ci si orienta verso le possibili cause anche di natura patogena esterna, notando però come la reazione all’invasione batterica variasse da persona a persona.
Si torna a sostenere, come fossero da tenere in considerazione non solo le singole parti del corpo, o singole malattie, ma anche lo stato generale dell’individuo, le condizioni igieniche in cui viveva, le sue abitudini alimentari, il contesto sociale, familiare, l’ereditarietà e lo stato emotivo. Giungendo alla constatazione (anche attraverso le sempre più ormai sviluppate analisi neurofisiologiche sul sistema nervoso centrale) che, alcuni disturbi non erano collegabili a precise influenze organiche e introducendo l’ipotesi che fattori non meramente di natura organica come le emozioni, potessero influire su tale funzionalità.
Veniva riconosciuta la possibilità di, cause endogene che innescavano a livello corporeo, malattie croniche.
Freud, neurologo austriaco diventato poi filosofo e padre della psicanalisi, partì esattamente da queste considerazioni, consolidando la convinzione che le conflittualità intrapsichiche fossero portatrici di malattia al pari di altri fattori puramente organici.
A lui e ad altri sostenitori della correlazione psiche-soma come Jung, Bach, F.G. Alexander etc. dobbiamo l´odierna visione psicosomatica; visione dell’uomo inteso come un tutt’uno.
Mente, spirito e corpo devono necessariamente essere intesi come unico sistema connesso e collegato, dove la disarmonia di una di queste parti influenza negativamente anche tutto il resto delle parti restanti.
L’uomo per star bene dunque deve curare ed allineare tutte le sue sfere… emozionali, mentali e corporee.
La nozione di salute oggi, si identifica non più con la semplice idea di assenza di malattia, ma con l’armonico funzionamento dell’uomo nel suo insieme e inserito nel proprio ambiente.
EMOZIONI... QUESTE SCONOSCIUTE.
Settembre 2025
Considerato dunque, che l’uomo per star bene con sé stesso debba arrivare all’equilibrio del suo stato emozionale più profondo, che altrimenti ne altera poi ogni struttura psichica e fisica, cosa intendiamo per emozioni? E cosa succede davvero quando proviamo un’emozione?
Il termine emozioni deriva dal latino emovére, che significa mettere in movimento.
Sono stati d’animo che ci spingono all’azione, ci inducono a cercare soluzioni, a prendere decisioni, a adottare nuovi comportamenti. Ci motivano e ci spingono a cambiare.
Esse sono innate, primordiali e indispensabili per l’uomo, perché hanno permesso e ci permettono di sopravvivere e di adattarci all’ambiente.
Pensiamo all’uomo preistorico…se non avesse provato la paura davanti alle belve, non avrebbe trovato il modo per difendersi e ucciderle.
La paura, ci permette infatti, di essere più attenti e di proteggerci.
La tristezza ci permette di isolarci per elaborare i lutti e il dolore d’animo, per riprendere a vivere poi rinnovati.
La collera rappresenta la nostra facoltà di indignarci e ci spinge a lottare contro quello che riteniamo come un’ingiustizia.
Nessuna emozione provata è di base quindi positiva o negativa, ma viene adottata automaticamente dal nostro organismo al fine di avvertirci, di tutelarci.
La difficoltà nasce poi in quello che ne facciamo di questa emozione provata, e di quanto il nostro sistema conscio o inconscio sia in grado di reggerne o meno la reazione che ne comporta di natura psicofisica.
Possiamo quindi interpretare le emozioni come, stati affettivi intensi, che vengono attivate da stimoli esterni o interni e che si manifestano attraverso reazioni fisiologiche... (che attivano il sistema nervoso centrale e il sistema nervoso autonomo)... e reazioni comportamentali (che prevedono la messa in atto di una o più azioni per raggiungere uno scopo).
Definirle personalmente non è però altrettanto facile, in quanto per ognuno di noi diventano molto personali e acquisiscono valenze diverse a seconda della capacità di esprimerle e affrontarle.
Ogni emozione può avere differenti significati ed esprimersi con diverse modalità a seconda di chi le prova, in quanto dipende tutto da quali risorse interne siamo in grado di mobilitare per farne fronte.
Quando proviamo un’emozione, infatti, sappiamo che questa genera in noi sensazioni corporee: il battito cardiaco accelera, il viso si arrossa, il respiro si altera, sudiamo, sentiamo una stretta al petto, un peso allo stomaco ecc…
Tanto più il nostro mondo interiore sarà in grado di individuare, gestire ed esprimere tale emozione, tanto più ci troveremo in uno stato di benessere. Quanto più invece, il nostro organismo andrà sotto stress perché non in grado di trovare una risposta a tale sollecitazione, tanto più si attiveranno strati sempre più profondi di difesa con funzioni di adattamento.
Dobbiamo quindi considerare che viviamo costantemente di emozioni. Sono sempre presenti in noi. Durante l’arco di tutta la vita, durante ogni singola giornata.
Non è possibile non provarle ed è per questo che, se non siamo in grado di prenderne coscienza, possono arrivare a prendere il sopravvento in ogni nostro aspetto e momento di vita vissuto, ma allo stesso modo se impariamo a sentirle davvero possono farci raggiungere qualsiasi meta desideriamo.
EMOZIONI e STRESS
Ottobre 2025
Lo studio dello stress ha dato un considerevole apporto alla psicosomatica ed è risultato un ottimo modello per lo studio delle correlazioni tra emotività e disturbi somatici.
Nel 1915, il fisiologo e biologo americano W.B Cannon notò che, in caso di intensa e prolungata stimolazione emotiva, il corpo risponde con alterazioni che egli definì “reazioni d’allarme”.
Attraverso i suoi studi, effettuò una serie di ricerche sugli aspetti psiconeuroendocrinologici e mise in relazione il manifestarsi di lesioni come l’ulcera in animali esposti a considerevoli stimoli del mondo esterno.
Fu il primo a utilizzare in maniera scientifica il termine “stress” e ne descrisse il livello critico, definendolo come il livello di stimolazione oltre il quale i meccanismi fisiologici non sono in grado di attuare una compensazione.
Qualche anno più tard poi, il patologo austro-canadese H.B. Selye, introdusse e utilizzò per primo in senso moderno il concetto di stress e descrisse l’impatto dei fattori stressanti sui differenti organi del corpo.
Nel suo studio sulla Sindrome generale di adattamento, mostrò la correlazione fra stress e malattia, constatando questa sindrome di 3 fasi:
Nella prima fase, detta “reazione di allarme”, l’organismo si prepara ad aggredire il nemico. Davanti ad un pericolo i muscoli delle gambe si tendono, le mascelle si serrano, il ritmo cardiaco e la pressione del sangue aumentano per nutrire i muscoli, soprattutto quelli degli arti inferiori in caso di fuga. Tutto il corpo e la mente sono concentrati su come evitare il pericolo.
La seconda fase è quella di adattamento e di resistenza, in cui si attivano il sistema nervoso autonomo e l’ipotalamo. Questo stimola l’ipofisi, che induce le ghiandole endocrine, in particolare le surrenali a secernere il cortisolo – l’ormone dello stress, pronto a resistere all’evento stressante percepito.
La terza fase, è quella di esaurimento, ovvero la mancata realizzazione dello scopo per cui un certo numero di strutture organiche sono state attivate, porta alle cosiddette somatizzazioni.
Questi studi dunque, comprovano che gli stimoli emozionali cronici, possono alla stregua di quelli cronici di natura infettiva, tossica o traumatica, comportare alterazioni funzionali.
La reazione ipofisi-cortico-surrenale inoltre, non viene attivata direttamente dagli eventi stressanti, ma dalle reazioni emozionali che ne derivano, e che quindi ognuno di noi è in grado di mettere in campo o meno a seconda dell’evento vissuto.
Ecco perché oggi giorno la lettura della psicosomatica diviene fondamentale quando si vuole dare una visione completa dei sintomi. Sintomi che tengano conto non solo della risposta fisiologico-organica, ma anche e sopratutto della risposta adattativa emozionale.